Monday

Aliki Polydor | "Take it or Leave it" installation 2006


Take it or leave it : the implications are many - above all, take what I offer you or leave it. The five senses exist but are lacerated. We are placed in a situation where we need to reflect on the following: feelings cost sacrifices and renunciations.
Today we have intense and rapid desires. Let’s think about it: is this the best way? And what is the best way to enjoy life? I don’t know. We want satisfaction at once but at times this isn’t possible. In the meanwhile we leave no space for renunciation.
And the immediacy of impulses also takes charge. I think that there is also an alteration in our way of getting attention, of being cuddled; perhaps we should become a little more patient as cuddles come at a price and not at once (as is suggested/provoked by the dialogue you will hear with the headphones).Listen to it : it is the exchange of words between a woman and a man; she says :
Viens que je t’embrasse, embrasse-moi, fais moi des calins” and then other exhortations in Italian, French, English. And when they make demands they lose their intensity, become banal, though it is true it is said that “what you ask for, you will never get”. Nothing should be taken for granted! We cannot give orders, as though pressing a switch, and at once have a mark of genuine, measured affection, even in the most extreme exaggerated cases! WE simply CANNOT. We must learn once again how to nurture, how to give time in order to harvest the feelings that strew the path.
This is a hard reality, but I believe that in this way, we can gather some lasting satisfaction pleasure; we cannot say it is easy to be taken or left alone: it is not this simple, we must struggle, and this too is not easy. Garbellini’s film is projected in parallel with the recorded dialogue heard on the headphones that reveals the man and the woman have just met and barely know each other... “viens que je t’embrasse”, “hug me”, Dammi una carrezza” etc..But then, not always is immediacy gratifying...
Aliki Polydor 2006 All Rights Reserved
translated by Michael Haggerty

Saturday

Il sacrificio

Rinuncio al bene rinuncio al male
Al cielo azzurro al temporale
Rinuncio al senso la comprensione
Rinuncio al canto alla canzone
Rinuncio al giorno che si avvicina
All’alba chiara di ogni mattina
Ed al tramonto che certe notti
Prepara il canto per i tuoi occhi

Rinuncio a te
Al tuo sorriso
Al bacio amaro
Cui m’ero arreso
Alla conquista
Alla sconfitta
Alla tempesta
Della vendetta
Rinuncio al tempo
Dell’illusione
Ed all’incanto
Dell’emozione
Ad i tuoi passi
Lungo la via
A casa tua
A casa mia

Come regalo per la tua veglia
Per il tuo volo la meraviglia
Di quando siedi e non mi guardi
Però mi vedi però mi osservi
Rinuncio al tempo che mi è rimasto
Senza rimpianto per tutto il resto
Al grande amore che un dì ci univa
Purché tu viva
Purché tu viva

Rinuncio al cerchio
Delle stagioni
Che nello specchio
Fa giochi strani
Rinuncio al fuoco
Delle passioni
Quello che provo
Quando mi chiami
Rinuncio al soffio
Del tuo respiro
Mentre tu dormi
E io ti ammiro
Al grande amore
Che un dì ci univa
Purché tu viva
Purché tu viva

Marco Ongaro

Tuesday

Take it or leave it | Chiesa San Pietro in Archivolto | LED lighting installation


"Voglio tutto subito oppure ci rinuncio. Quello che vuoi lo vuoi adesso? Allora lascia perdere, perché adesso non ce l'ho." 
Coccole da reality show. Obbligate, spiate, consapevolmente trasmesse e registrate. Baciare o combaciare? Coccole imposte, comandate o telecomandate. Coccole richieste con ricatti sottili. Ne fai a me e io ne faccio a te. Baciare, sì, ma combaciare? Quando e come combaciare?
Ti servono adesso e io adesso non le ho. Le vorrei, ma non posso costringerti. Le coccole non possono essere imposte, non sono imponibili come un capitale qualsiasi. Non combaciamo, tesoro, nei tempi più che nello spazio. Lo spazio, quello l’abbiamo saputo piegare al nostro volere. Siamo insieme per questo. Eppure il tempo non lo dominiamo e quando tu sei orizzontale io sono verticale, quando la luce ti cade addosso dall’alto, a me arriva dal pavimento e mette in mostra le cose che normalmente nascondo, che non voglio vedere.Non combaciamo nel senso, nei sensi. Volevi intendere qualcosa con quel gesto? Bene, ho capito qualcos’altro. Volevi sentirmi sulla pelle? Io invece avevo voglia di ascoltare la tua voce. Volevi vedermi? Io volevo sentire il tuo odore, tenermelo addosso anche molte ore dopo che te n’eri andata.
Volevo baciarti, sentire il gusto della tua bocca, respirare il tuo alito. Tu invece volevi parlare, ascoltare della musica, guardare un film. Quando si riesce a combaciare nello spazio, si sbagliano i tempi. Eppure l’attimo magico esiste. Quello in cui tutti i cinque sensi, i tuoi più i miei che fanno dieci, si uniscono e aderiscono come i nostri corpi che finalmente hanno trovato il tempo.
Il sesto senso è fuori dal tempo e non ci riguarda. Dobbiamo lasciarlo fuori anche dalle coccole, altrimenti si guarda con gli occhi della mente, si annusa col naso del cervello e si tocca con tutto ciò che si è usato per toccare fin da quando si era usciti da là, dall’altro corpo, quello in cui si è stati ospiti per un po’. Lasciamolo perdere, il sesto senso: è materia da spirito.
L’attimo magico esiste, ma è un attimo, e quando cerchiamo di ripeterlo appare stanco. Quando cerchiamo di renderlo più vivo, un po’ si spegne. Va colto quando c’è, e va riconosciuto. È straordinario che tra noi ci siano state coccole così meravigliose e spontanee e così a lungo e negli stessi tempi e rispondendo alle stesse esigenze e speranze.
È stato magnifico. Ma non è ricreabile con un ordine che arriva dall’alto. Non lo si può obbligare. Prendere o lasciare. Si combaciava. È stato bello combaciare. Ora ci si potrebbe anche tollerare.
Aliki nasce a Teheran, da padre greco e madre russa, studia a New York, Londra e Sheffield e si trasferisce a Parigi. Da un po’ vive a Verona, ma è appena tornata da una sua mostra a Rotterdam. Che qualcuno provi a individuare con precisione le singole mescolanze che attraversano lei e la sua creatività! Un mercato iraniano di spezie in Central Park è un brivido irrealizzabile di questi tempi, eppure è ciò che più le si avvicina. Scardinata da un luogo alla ricerca di coccole o abbracciata indissolubilmente al mondo intero?
Ci parla di coccole come di un bene concreto e genuino, qualcosa che puoi prendere o lasciare, ma non imporre come una mano appoggiata su qualcuno "per sbaglio" in autobus, la proverbiale "mano morta" che finge casualità per divenire aperta intenzione se solo le viene offerto uno spiraglio di accettazione. Con le sue installazioni a LED ci parla di consapevolezza e tolleranza. È l’amore che vogliamo, non costringiamolo ad essere qualcosa d’indifferente, stanco, ripetitivo, obbligatorio o esibizionistico. Non costringiamolo nelle forme in cui pensavamo di desiderarlo. È a qualcun altro che lo stiamo chiedendo. È a qualcun altro che lo stiamo offrendo. Non a noi stessi.
Marco Ongaro – scrittore